Attualità del Gargano Segreto

Attualità del Gargano Segreto di Pasquale Soccio

Articolo scritto da Duilio Paiano e pubblicato su PIANETA CULTURA n. 18 di marzo 2020

Sono tante le situazioni, i tempi, i modi e le predisposizioni d’animo attraverso cui si può leggere e avvicinarsi ad un’opera poetica, un romanzo, un pensiero scritto da qualcuno. Ed al mutare di una o più di queste variabili, la poesia, il romanzo, il pensiero ci appaiono come nuovi, rigenerati, capaci di suscitare emozioni diverse rispetto alle precedenti letture. Accade anche per un brano musicale, la visione di un film, uno spettacolo teatrale, un programma televisivo che non ci stanchiamo mai di rivedere proprio perché, col tempo e nel tempo, variano le situazioni, le modalità, le predisposizioni del nostro animo a leggere, ascoltare, guardare. E tutto sembra ancora interessante, forse ancora di più, nuovo, accattivante.

La breve premessa si è materializzata nella mia mente al confronto di un’opera di Pasquale Soccio, certamente la più conosciuta e apprezzata – Il Gargano segreto, Adda editore, Bari 1965 – che ho letto per la prima volta circa quindici anni fa, con colpevole ritardo benché l'avessi cercata a lungo e tenacemente. La generosità dell'amico Vittorio Salvatori (ha da poco superato la soglia dei novant'anni, a lui vanno i miei auguri di ancora lunga vita e un grazie immenso per il dono che mi ha fatto) che era in possesso di ben due copie della pubblicazione, mi ha consentito di pervenire nella disponibilità di questo capolavoro, consentendomi la sua lettura con tutto il tumulto di emozioni che ne è conseguito. Si tratta di una copia dell'edizione originale, proprio quella datata 1965, già letta e riletta dallo stesso Vittorio e arricchita da sue sottolineature e appunti personali che la rendono ancor più preziosa sotto il profilo della generosità e dell'amicizia. Gliene sarò grato per sempre.          Alla prima lettura, ne è seguita una seconda, più meditata e meno impulsiva, ma l'effetto sui sensi e sui sentimenti non è mutato: è stato, ogni volta, un inseguirsi frenetico di emozioni e suggestioni che mi hanno avvinto, coinvolto, sopraffatto.

Nel frattempo, era l'anno 2011, considerata l'attualità del contenuto e con l'intento di farne una proposta editoriale da sottoporre anche alla conoscenza e al godimento dei più giovani, la Fondazione “Angelo e Pasquale Soccio”, con il suo presidente professor Raffaele Cera, ha provveduto a una ristampa dell'opera graficamente più gradevole, sempre affidata all'editore Adda di Bari. «È una circostanza fortunata – scrive nella presentazione lo stesso Raffaele Cera – che la ristampa avvenga nel decennale della morte di Pasquale Soccio». E continua, con riferimento ai potenziali giovani lettori: «È ferma intenzione del Consiglio di amministrazione dare un seguito alla nuova pubblicazione curando l'allestimento di una edizione scolastica di “Gargano segreto” per coinvolgere i giovani studenti di San Marco in Lamis e di altri Comuni nella lettura e nello studio delle pagine del prezioso volume».

L'essere venuto in possesso della rinnovata pubblicazione dell'operami ha sollecitato a una sua rilettura, sull'onda di un ricordo che, pur col trascorrere del tempo, risultava tutt'altro che sbiadito. L'effetto emotivo non è cambiato, ma le considerazioni scaturite nella mia mente sono aumentate, stimolate dal fatto che, nel frattempo, la mia personale conoscenza del Gargano era aumentata e mi consentiva un confronto libro-realtà più completo e dettagliato.

Le suggestioni scaturite da quelle letture sono rimaste talmente impresse nel mio animo da spingermi, prepotentemente, a riprendere dagli scaffali della mia libreria il capolavoro di Soccio e rileggerlo. Parte decisiva in questa voglia prorompente di rilettura hanno avuto le dolorose vicende criminali che hanno riportato la Montagna del sole all'attenzione dell'opinione pubblica: delitti, faide, malaffare, comportamenti non in sintonia con la legge o, più semplicemente, con la morale. La curiosità è stata quella di voler verificare quanto la delicata e appassionata descrizione del Gargano socciano potesse conciliarsi, o giustificare, il degrado criminale che da anni inquina e ferisce la terra di San Pio, dell'Arcangelo Michele e di San Matteo. Leggere le pagine di quest’opera è come immergersi in una favola: scritta con taglio naif perché dettata dall’istinto fanciullesco e fantastico che albergava nell’animo di rigoroso studioso e narratore di Soccio. Non ci sono morali da trarre o meta messaggi da ricercare nel suo Gargano segreto: tutto ciò che risalta nelle sue pagine è raccontato con l’arma suadente ed accattivante della poesia, sgorga direttamente dal sentimento di un uomo che osserva con incanto un paradiso selvaggio e cerca di trasmettere – riuscendovi alla grande – il suo stupore affidandosi al vocabolario della meraviglia. In questo contesto fiabesco, perché visto e raccontato con l’innocente estasi del fanciullino ma con l’uso sapiente delle parole che è proprio di Soccio, noi potremmo sentirci, di volta in volta, Biancaneve o Cenerentola, Cappuccetto Rosso o i sette nani, il principe salvifico o la strega. Vi ci troveremmo, come in effetti ci troviamo, perfettamente a nostro agio.

Per l’insieme di questi motivi – alcuni strettamente legati ai sentimenti, altri frutto del raziocinio – parlare del «Gargano segreto» di Pasquale Soccio non è cimentarsi con la semplice recensione di un libro, bensì spalancare uno scenario onirico all’interno del quale liberare i potenti strumenti della fantasia.

«Dal Gargano segreto di Soccio – scrive Michele Palmieri nella presentazione del volume nell'aletta di copertina – si leva, signorile e discreto, l’invito a vagabondare per le contrade garganiche, a centellinare con posata pacatezza l’incanto di un paesaggio in cui spazio geografico e storia dell’uomo si sono intimamente compenetrati, a percepire il respiro di una popolazione segregata ma intrepida, a dischiudere con delizioso sgomento uno scrigno di emozioni stregate, a scoprire nella stessa sconsolata nudezza delle pietre i segni di una grandiosità religiosa e severa. (...) Il colloquio con la sua terra, di cui lo scrittore si riconosce zolla vivente e vagante, prepara alla scoperta del Gargano come condizione umana ricca di calore e di slancio vitale, di libera e spiegata inventività fantastica, di schietta accettazione delle ombre e delle luci del giorno, di antico vigore e di fremiti virili». Il primo interrogativo che viene da porsi, leggendo il Gargano segreto di Soccio è: ma questo Gargano, così noto, così frequentato, così declamato, così continuamente “assalito”, possiamo ancora definirlo segreto? Nonostante la fama che lo accompagna, in virtù della sua molteplicità di attrattive (San Pio, il mare, le foreste, i santuari, la storia, l’archeologia, l’arte), c’è ancora tanto da scoprire? Certo, ci riesce più comprensibile una “segretezza” riferita ai tempi di Soccio, ma oggi che i mezzi di comunicazione e le strade per raggiungerlo e muoversi sono agevoli e rapide, oggi il segreto può ancora ritenersi una prerogativa di questo territorio?

La risposta all'interrogativo non può essere immediata e ha bisogno, ammesso che una risposta si possa dare, di una lettura del libro: che, va detto, attrae, attira, avvince e obbliga quasi a farne... un solo sorso, come ci accade d’estate, nel bel mezzo della calura daunia, incapaci di resistere alla tentazione di una bibita fresca e rigenerante. Successivamente, però, prende il sopravvento la voglia di centellinarne la lettura, per ammaliarsi appieno degli aromi e dei profumi che promana, per immaginare e sognare ad occhi chiusi.          Ci si rende conto, a questo punto, che il Gargano descritto da Soccio non potrà mai essere disvelato del tutto, sarà sempre ammantato da un alone di mistero che è anche la chiave del suo fascino e della sua capacità d'attrazione.

 Quello raccontato nel libro è «il Gargano di Soccio», percepito con le antenne della mente di Soccio, mediato dalla sua specificità sensoriale, trasferito a noi con gli impareggiabili strumenti della parola e della narrazione che gli sono propri. È, in definitiva, il Gargano custodito nel cuore di Soccio che è stato e rimarrà sempre segreto, perché gli appartiene, e appartiene soltanto a lui.

È quel che vale anche per noi, naturalmente, pur nella inadeguatezza delle nostre capacità espressive e narrative rispetto a quelle del cantore di San Marco in Lamis, perché in ognuno di noi vi è un Gargano tutto nostro che rimane un “segreto” a tutti gli altri. Si tratta di un meccanismo oscillante tra il freudiano ed il kafkiano che alimenta l’incantesimo che avvolge e nutre il Promontorio.

«Chiedermi che cosa è il Gargano, è chiedermi chi sono io, sua zolla vivente e vagabonda» –, scrive Soccio nella prefazione al suo lavoro. E, ancora: «Infine, lo dico con un po’ di pudore, sono parole all’orecchio, sottovoce, quasi dette a me stesso, frutto d’amore; e ciò può spiegare anche una certa, spontanea disposizione al canto della pagina, e alcune ricorrenze intenzionali di motivi, ricordi e impressioni».

Ci sarebbe da chiedersi se il Gargano di Soccio è lo stesso che noi abbiamo la possibilità di ammirare oggi, a distanza di oltre cinquant’anni. Quelli di Soccio erano ancora i tempi di Padre Pio vivo; delle spiagge solitarie e delle cale affascinanti; delle grotte misteriose; delle strade strette e dissestate; dei contadini che facevano i contadini accollandosi l'eredità e la tradizione dei genitori e degli avi, degli allevatori e dei pastori; dei santuari e delle chiese raggiunti a fatica e al prezzo di grandi sacrifici, con mezzi ormai ritenuti esemplari di archeologia industriale, per alimentare una fede incrollabile e dare ossigeno alla speranza in un futuro migliore; dei borghi e dei centri ancora protetti dalla loro stessa storia, orgogliosi dell'autenticità; dei riti incapsulati nella tradizione più rigorosa e nella vicende più genuine.          Il Gargano dei depliants patinati cominciava appena a fare capolino; il Gargano della superstrada e delle gallerie e delle arterie moderne era ancora nella culla delle speranze e di un futuro che appena s'intravedeva; l’invasione dei “forestieri” che avrebbe contribuito a rimescolare i filamenti del Dna di queste popolazioni era in agguato dietro l’angolo dello sviluppo; la trasformazione della civiltà contadina in civiltà del turismo era in embrione e prometteva di esplodere di lì a qualche anno; Padre Pio non era ancora diventato San Pio, benché nell'immaginario popolare lo fosse stato già da sempre; San Giovanni Rotondo viveva il travaglio e l'esaltante speranza di trasmutare il suo destino da cittadina rurale in città mondiale della fede, “bella e impossibile”; il travagliato Parco Nazionale era ancora “in mente Dei”, Vieste sognava di diventare una delle capitali italiane del turismo.

Tutto ciò, e altro ancora, è accaduto negli ultimi cinquant’anni, dopo la scrittura del libro di Pasquale Soccio. Ma Gargano segreto ha tutta l’aria di non curarsene. Soccio vivo, oggi avrebbe scritto questo libro esattamente come cinquant’anni fa: perché quello descritto nelle sue splendide pagine è un Gargano tutto suo, eterno, immutabile, incastonato come “un diamante per sempre” nella sua storia e nel territorio della Daunia, racchiuso nello scrigno della sua anima, della sua intelligenza, della sua coscienza.

Si tratta della stessa operazione di suggestione culturale che vede protagonista chiunque custodisca un proprio Gargano che prescinde dalle epoche, dai giorni, dagli anni, dal tempo, dallo spazio, «sintonizzato» soltanto sulla personale sensibilità e sul bisogno di chiudere gli occhi e adagiarsi lasciandosi andare, abbandonandosi alle carezze ammalianti della brezza che viene dal mare, al seducente fruscio delle foglie dei boschi, stordito dai profumi dei fiori e dagli aromi che si perdono e si diffondono nell’aria inconfondibile dello “sperone d’Italia”, catturato dall'armonioso suono delle campane dei numerosi santuari che ne costellano il territorio e “trascinano” in una dimensione onirica e di trascendente benessere. È un Gargano segreto intimo e del tutto personale che nessuno potrà “rubarci”, che ci accompagnerà fino alla fine dei giorni alimentando sogni, speranze, solitudini, meditazioni e ricordi, in un mix di sensazioni uniche e straordinarie che eleva la nostra essenza umana alla beatitudine degli angeli. In realtà, nel Gargano segreto di Pasquale Soccio non troviamo una descrizione sistematica e organica di tutto il Promontorio. Egli, da raffinato psicologo, ci regala “assaggi”, pennellate, spunti; ci incuriosisce e ci ammalia con la sua prosa poetica. Quasi volesse stuzzicare il nostro “appetito” con un tentatore e sapido aperitivo. Sono scampoli di una raffinatezza ineguagliabile che assurgono a vette narrative e poetiche di estrema efficacia, mai tralasciando di esaltare il colore, le atmosfere, il lato umano delle situazioni; mai trascurando di accarezzare le corde del sentimento e di smuovere i neuroni del bello e del suggestivo.

Esemplare mi sembra, ai fini della comprensione di quanto appena affermato e delle occasioni tentatrici di cui sono diffuse le pagine del Gargano segreto, la descrizione del “trenino” garganico che raffigurare esaustivamente il «taglio» complessivo del libro.

«Il trenino che si muove dalla stazione di San Severo, è un bimbo svagato e vagabondo. Si intona così allo stato d’animo del viaggiatore perdigiorno. Il quale avrà modo di notare nel treno, per la  varietà della gente rurale e marina, dalla parlata ardita e un po’ guappa e dalla conversazione sempre rumorosa di quell’umanità stipata fra un cesto di verdura, una balla di lana e una sporta irrequieta di anguille del Varano e trainata come in un caravanserraglio, una permanente aria di sabato. Il trenino, dunque, col suo moto frenetico e col ronzio d’un calabrone felice, ora corre tra vigne festanti, ora si ferma a un casolare come per dire qualcosa a un amico, ora fila come una nave grottesca in un mare di verde grano, ora si arresta incurante e distratto per un improvviso mancare del vigore elettrico. In queste soste forzate, però, il viaggiatore trova sempre compenso nel dare uno sguardo al paesaggio. Scorgerà lì un esteso campo di rosso impazzito da una folla di rosolacci, qua una plaga gialla di primule e altri fiori d’oro che insieme fanno una gran panna di uova montate, altrove tappeti variegati di rosso, di cilestro e di viola, e intessuti dal ciano, dalla veccia, dall’origano, dalla maggiorana, dal verbasco e dagli asfodilli. A quando a quando una folata di regamo, di persa uliva e di mentastro: il Gargano che si annunzia con i suoi aromi più segreti e persistenti. Ma questo trenino, così distratto e per suo conto felice, che va avanti ora annusando come un cane avido, ora canterellando e fischiettando come un bighellone, poco si cura di entrare nei borghi garganici. Così svogliato e pigro in salita, dimentica paesi annidati nelle valli e borghi appollaiati sui monti; con aria troppo sbarazzina, spesso ti saluta da lontano e dimentica il suo servizio. Appena degna di uno sguardo Rignano ventoso, affacciato da un balzo sul Tavoliere; non scorge San Marco, accucciato nel grembo, quasi nell’inguine di un monte; sbircia maliziosamente Apricena, scivolata al piano dalle più aride pendici di Castelpagano, giocando a rimpiattino nell’imbucare una serie di brevi gallerie. Ma questo suo caracollare giocando tra sproni e colli deve avere pure uno scopo: ha in corpo il desiderio, l’ansia di raggiungere i laghi e il mare. Terribilmente giulivo è, infatti, quel gridìo di bimbi festanti alla vista di una lunghissima e pallida striscia d’acqua. Ma, a differenza del prode Anselmo che vide un lago ed era il mare, qui il mare col tempo è diventato un lago». 

A questo punto si fa strada, prepotente, una domanda: quanto e che cosa rimane oggi del Gargano segreto narrato da Pasquale Soccio? Hanno ancora titolo per essere esaltati i pregi naturalistici così ben descritti nel libro?

La funzione del “testamento” lasciatoci in eredità da Soccio può essere individuata nell'anima del promontorio. Certo, l'aspetto esteriore è in buona parte mutato, sulla spinta della modernizzazione, del potenziamento dell'offerta turistica e delle relative strutture. Il “paesaggio” complessivo è stato arricchito – in qualche occasione con scarsa accortezza – da manufatti funzionali al vigoroso decollo turistico del promontorio e, ove possibile, nel rispetto dei parametri legislativi e affettivi che l'unicità del territorio pretende. Ma le emozioni che Il Gargano segreto dello studioso di San Marco in Lamis elargisce generosamente rimangono salde e rappresentano, oggi ancor più di prima, l'anima vera, autentica di questa terra.

Nel frattempo, proprio i meccanismi del rapido sviluppo turistico, e del salto complessivo dell'economia del territorio, hanno dato vita e consolidato atteggiamenti devianti che vengono attribuiti in parte alla cosiddetta “mafia del Gargano”, per evidenziarne la specificità: faide, omicidi, interessi che ormai esondati rispetto al vecchio, tradizionale reato dell'abigeato; per altra parte, si sono manifestati comportamenti individuali che si estrinsecano attraverso corruzione e malaffare insinuatisi in varchi insospettati di istituzioni rivelatesi più vulnerabili di altre che, invece, hanno meritoriamente resistito.

È questa l'emergenza che angustia e ferisce ma che, tuttavia, non può e non deve prendere il sopravvento sulla magia narrata da Soccio. Natura, storia, religione, arte, tradizioni, umanità sono valori necessari al progresso, allo sviluppo e al benessere delle comunità garganiche. Il vate sammarchese se ne sarebbe rammaricato e addolorato ma, sono certo, non avrebbe cambiato una sola virgola rispetto alla descrizione del Promontorio operata nel 1965. Perché l'anima di questa terra rimane intatta, custodita nella memoria dei più anziani, pronta a “catturare” la sensibilità dei più giovani.

Proprio per andare in direzione di questo ottimismo legato al futuro, pur non nascondendo le difficoltà del presente, mi piace concludere queste riflessioni con alcuni versi che ho recentemente dedicato alla Montagna sacra e che sono stati scritti col cuore e con il forte auspicio di una tempestiva redenzione che vuol dire ritorno all'autenticità e alla spiritualità della gente garganica.  

La Montagna del sole

(Splendore della luce, buio della disperazione)  

Affacciato alla scogliera

a strapiombo sul mare

che sa d’immenso,

mi perdo nel silenzio

dell’universo

in compagnia del trabucco

che rievoca fatiche antiche

e attese fiduciose.  

Rapito dal placido andare

di vele spensierate,

attratto da sagome misteriose

di navi all’orizzonte,

m’infiammano i bagliori del sole.  

Sagre, storia, umanità,

santi, laghi e foreste,

aurore sfolgoranti,

  tramonti struggenti.

È in questa pace

che ammalia e stordisce

la magia della Montagna del sole.  

Mentre

    sedotto dall’incanto

del paradiso a portata di mano,

sogno scampoli di eternità felice,

nuvole minacciose

convengono ad oscurare il cielo.  

La brezza di terra

annuncia

il brontolio sinistro

di un tuono lontano,

che giunge in sordina

come presagio di morte.  

Mi sgomentano

mormorii inquietanti,

brandelli di odio ancestrale,

che di fronda in fronda

corrono sulle ali del vento.  

L’eco sciagurata del male,

della vendetta, della prepotenza,

oltraggia

la sacralità del Promontorio.  

Montagna del buio,

della sventura,

della disperazione.  Montagna del sole,

ancora aggrappata

alla speranza.    

Ce la Faremo

(Promontorio di pace)  

Boati di morte

scricchiolii di odio

frustate di violenza

  offuscano la luce

della Montagna del sole,

avviliscono gli uomini

di buona volontà.  

La chiamano faida

ma è rancore;

la spacciano per giustizia

ma è vendetta;

s’illudono che sia libertà

ma è prepotenza.  

Scorre il sangue

in rivoli funesti

per le valli del Promontorio,

rosse lacrime di dolore

che dissacrano

le zolle benedette

calpestate da San Pio.  

Urla disperate

non giungeranno mai

al Cielo,

sprofondate nel precipizio

del castigo eterno. Eccoci,

Montagna sacra,

emergi dal baratro

del male

  che offende

la luminosità del tuo mare,

inquina

la storia delle tue contrade,

fiacca

la generosità della gente,

mortifica

i sogni dei tuoi giovani figli.  

Eccoci,

Montagna di vita,

Promontorio di pace,

santuario di fede,

feconda culla di speranza,

terra di beatitudini e incanti

che rapiscono il cuore.  

Eccoci,

Montagna del sole.

Ce la faremo.