Lesina e il suo lago

€ 15.20

Autore: Alfonso Chiaromonte
Collana: Paesi e Storie del Sud 
Pagine: 208 p., Brossura
ISBN: 978 8889008058
Prezzo di copertina: € 16,00

L’autore, dopo i precedenti scritti da FATTORIA a POGGIO IMPERIALE, Scepi – Lucera, 1997; POGGIO IMPERIALE: note di Storia sociale e religiosa, Edizione del Rosone – Foggia, 1999; LA CAPITANATA tra OTTOCENTO e NOVECENTO, Edizioni del Poggio – Poggio Imperiale, 2002, ha voluto approfondire ed ampliare l’aspetto territoriale, lagunare e storico di ciò che era alle origini di Poggio Imperiale, cioè Lesina, di cui, pur se marginalmente, se n'era occupato nelle opere citate.
Il percorso era già tracciato e reso più agevole sia dalle conoscenze documentali acquisite sia anche dalle memorie parentali tramandate, essendo stata nonna Maria Orlando, nativa di Lesina ed imparentata con famiglie (i Colozzi e i Calvo) che lasciarono segni indelebili nella storia recente e meno recente di questa ridente e amena, ma non sempre felice, cittadina.
Quando mio fratello Alfonso mi partecipò l’idea di voler scrivere di Lesina e su Lesina, mi sovvennero immediatamente le puntate che tenni su Radio Gamma nel Dicembre del 1977 sull’argomento, ospite dell’amico e collega Primiano Clima, conduttore, all’epoca, di un programma ricreativo-culturale.
Dalle puntate di Radio Gamma e dall’ultima fatica di Alfonso non potevano non emergere le antiche vestigia di questo antichissimo centro lagunare e le sue avverse storiche fortune.
La singolare natura del luogo e la copiosa pescosità del lago lo resero abitabile sin dalla preistoria,
ricco e felice durante tutto il periodo romano ed estesissima e fiorente Contea nel Medio Evo fino a quando decadde e successivamente, ristretto nel territorio, fu, prima, donato all’Ospizio della Santa Annunziata di Napoli e, poi, venduto al principe di Sant’Angelo dei Lombardi don Placido Imperiale e vessato da suo figlio Giulio II e dai nuovi signori e padroni del lago.
E fu proprio la posizione di questo paese, tutto immerso nelle acque del lago omonimo, causa di lotte titaniche che il popolo lesinese dovette combattere per affermare il proprio diritto alla vita.
Lesina ebbe a soffrire, nei secoli, invasioni, inondazioni, terremoti, angherie e, nonostante tutto, è sempre rinata, grazie all’operosa caparbietà dei suoi abitanti.
Il lesinese ha dovuto nei secoli sempre lottare. Lottare contro le calamità climatiche, contro la carestia, contro la malaria, contro le avversità politiche, contro i soprusi dei baroni e dei padroni ed è divenuto, per forza di cose, d’indole pugnace, libertario, geloso di quel lembo d’acque quasi stagnanti, esalanti nocivi miasmi e fonte, spesso, di morte e che, pur tuttavia, garantirono la sopravvivenza e costituirono la rinascita di un popolo che non volle arrendersi, soccombere, scomparire.
La Lesina che appare da questa nuova opera è una Lesina liberale e democratica, repubblicana, laica e progressista.
Alfonso non esalta questi aspetti, ma non li tace. Con lo spirito acritico dello storico li enuncia tutti e li supporta con una certosina ricerca documentale.
Ed è per questo motivo che Lesina e il suo lago è un’opera diversa, più ampia, ricca ed organica rispetto a tutte le altre assai meritevoli che sono state scritte negli ultimi anni da Nicola Lidio Savino, Salvatore Primiano Cavallo e Giuseppe Di Perna.
Ogni capitolo può considerarsi un tema a se stante, autonomo, e l’intero volume suddividersi in quattro parti: 1) le origini, 2) la floridezza, 3) la decadenza, 4) le lotte.
Lesina non può prescindersi dal suo lago e i suoi abitanti dall’uso della pesca. Tutto ciò è comprensibile dalle sue origini e da tutta la storia successiva sia nei periodi di splendore e soprattutto in quelli di decadenza.
Avere possedimenti sulle rive del lago di Lesina era desiderio di molti sia per la ricchezza del pescato, sia perché, comunicando con il mare Adriatico, era sbocco marittimo molto ambito.
Ciò fu vero per Roma e tanto più nel periodo difficile ed oscuro delle invasioni barbariche e in tutto il Medio Evo.
Alfonso fa una minuta elencazione dei vari passaggi di proprietà dei possedimenti territoriali di Lesina dovuti sia a conquiste sia ad usurpazioni o semplici donazioni ed acquisti.
I lesinesi non accettarono, però, sempre passivamente.
Cercherò di riassumere i millenari accadimenti sia per evidenziarne gli aspetti più significativi, sia per rendere più agevole e comprensibile la lettura. Non mi soffermo sulla prima e seconda parte del libro perché ritengo più utile rimarcare il carattere libertario, democratico e progressista dei lesinesi.
Lesina, dopo che fu donata dalla regina Margherita di Durazzo alla Casa della Santa Annunziata di Napoli e fu usurpata con l’avallo di Alfonso I d’Aragona dall’Azzia, scampò, nel 1461, alla distruzione della città allorquando parteggiò per gli Angioini contro Ferdinando I d’Aragona.
Nel 1502 i cittadini di Lesina per usufruire degli usi civici occuparono vari territori del Regio Tavoliere e dell’Annunziata e dovettero scontrarsi più volte con quelli di Sannicandro che accampavano gli stessi diritti sulla parte Est del lago e dei territori circostanti.
Ci vollero 50 anni circa di lotte e di liti giudiziarie e solo nel 1550 la Reintegra del Revertera permise loro di tornare a godere dei diritti negati.
Ma già al tempo dei Comuni, come risulta dagli archivi municipali di San Severo, lo spirito ribelle e libero di Lesina si manifestò con la partecipazione dei suoi figli migliori alla difesa della prima repubblica italiana costituitasi a San Severo e soffocata nel sangue dall’imperatore Federico Barbarossa.
E allorché gli sconvolgimenti di Francia verso la fine del XVIII secolo portarono alla Rivoluzione, i fermenti di libertà, uguaglianza e giustizia, pervenuti in Italia, si diffusero fino a Lesina. I lesinesi si raggrupparono unitamente agli altri repubblicani sopraggiunti da Apricena e Poggio Imperiale a San Severo e reagirono alle forze sanfediste del cardinale Ruffo e organizzate sulle montagne del Gargano da Pietro Sorino e Michele Fusini.
E anche quando la Capitanata divenne tutto un fervore di vendite carbonare, Lesina non fu da meno. Si può, anzi, affermare, senza ombra di smentite, che i moti carbonari del 1820 nel Regno delle due Sicilie, furono organizzati e messi a punto nella vendita tenutasi nel Bosco Isola con a capo i lesinesi Primiano Coluzzi (Colozzi?) e Nicola Granata. Alla stessa vendita parteciparono Guglielmo Pepe, il Russo, il De Conciliis, il Meneghini, Paolo Venusi, Gian Tommaso Giordani, il fior fiore della Carboneria napoletana e foggiana.
La vera epopea, però, i lesinesi la dovettero vivere per riacquistare l’uso civico della pesca e garantirsi la sopravvivenza.
Potevano, come riferisce l’autore, attraverso la donazione del feudo da parte della regina Margherita di Durazzo alla Casa della Santa Annunziata di Napoli, vivere tranquilli, usufruendo gli usi civici concessi sul lago, bosco e paludi, ma Alfonso I d’Aragona, contravvenendo ai precedenti accordi, donava con il Privilegio del 19 Settembre 1443 la città, i castelli, gli uomini, la pesca, il banco di giustizia ad Antonio Azzia di Capua.
Come si è detto, questo stato di cose si protrasse oltre la morte dell’Azzia avvenuta nel 1478 fino alla Reintegra del Revertera (1550) e continuò fino al 1626 allorquando, in ragione della sentenza del Sacro Regio Consiglio del 14 Maggio 1622, il Consigliere De Piccolellis si recò sul posto, fece apporre dei termini lapidei e invitò il Barone e i cittadini di Sannicandro di non accedere nel territorio della città di Lesina, di pescare e maturare canapa e lino nel lago.
Purtroppo l’anno seguente, ci si mise lo zampino anche la natura e il terribile terremoto del 30 Luglio distrusse quasi totalmente la città. Interessate il racconto dell’evento, quasi una moderna cronaca giornalistica, di Antonio Lucchini che Alfonso riporta.
Si arrivò, così, alla crisi del Banco della Santa Casa dell’Annunziata di Napoli e alla vendita all’asta del feudo per fallimento. Altro calvario, altri soprusi, altre titaniche lotte.
Significativi, per comprendere meglio gli eventi, i ritratti che fecero di Lesina e dei lesinesi l’agronomo Donato Gallerano nel suo Apprezzo dei beni della Casa della Santa Annunziata e il Regio Ripartitore della Capitanata Biase Zurlo.
Nella perizia Gallerano del 1729 si legge che a Lesina vi erano 108 famiglie e 545 abitanti tutti benestanti. Erano di bell’aspetto e sopperivano all’acqua cattiva e salmastra con il vino. Tra gli uomini e tra le donne vi erano settantenni ed ottantenni che vestivano bene, con scarpe e cappello e monili d’oro.
Zurlo, invece, la cui macchinazione ai danni dei lesinesi fu palese, nella sua relazione del 1810 riportò testualmente: “ entrai in Lesina e non vidi che un paese squallido…mi informai dei modi di vivere degli abitanti e dei mezzi della loro sussistenza e trovai che essi la traggono, …gli uomini dalla caccia alle folaghe …in prodigiosa quantità e le salano, e dalla pesca che o fanno o rubano nel lago…le donne si applicano a far reti e far piccioli altri lavori donde non traggono la sussistenza… Il costume è generalmente corrotto…e questo popolo destava la mia compassione…Considerai che uno dei mezzi capaci di migliorarlo sarebbe stato di negargli l’uso della pesca immutandolo in un’annua rendita… che dietro i calcoli avrei potuto estendere sino a 4000 ducati…respingendo così gli abitanti del lago alla terra e all’utile agricoltura…Questa risorsa avrebbe sollevato i cittadini da ogni tassa, ed avrebbe resa quella popolazione più comoda e morale…”
Zurlo falsando la realtà e mostrando un ipocrito pietismo mise in atto il suo piano di privare i cittadini di Lesina dell’uso civico sul terzo del lago accordato dalla Commissione Feudale successiva alla legge eversiva della feudalità del 1806 di Giuseppe Bonaparte, proponendo l’affitto del lago al detentore degli altri due terzi, don Giulio Imperiale.
A nulla valsero i tentativi del sindaco dell’epoca Primiano Colozzi che si recò personalmente dal re a Napoli per protestare e a Foggia per rispondere all’asta d’affitto a nome dei suoi concittadini.
Purtroppo, altro sindaco, Francesco Paolo Pacifico, Intendente di Capitanata lo stesso Biase Zurlo, il 3 Novembre 1823 firmò davanti al notaio Francesco Saverio Altamura, in Foggia, lo strumento di censuazione a favore degli Imperiale. Fu la capitolazione! L’Intendente, per prevenire i disordini che avvenivano nel lago tra gli abitanti di Lesina e l’Imperiale, emanò delle disposizioni capestro cui tutti i detentori di sandali dovevano sottostare. La lettura di esse è chiarificatrice dei soprusi perpetrati.
La pittoresca e ricca laguna di un tempo era divenuta poco più che uno stagno melmoso e malsano, racchiuso in un fondo privato e senza più sbocchi al mare.
Ai nuovi signori del lago, succeduti agli Imperiale, nulla importava tutto questo. Sbarrarono financo la foce Schiapparo per impedire la fuga delle anguille e aumentare i propri introiti a scapito della pubblica igiene e della salute dei lesinesi
Siamo ormai alle soglie del 900, le battaglie non si conducevano più per l’uso civico della pesca che ormai avveniva soltanto di frode, ma per la sopravvivenza stessa della cittadina di Lesina.
Scarne, ma chiare ed emblematiche le parole del dottor Primiano Calvo in una sua relazione del 27 Agosto del 1882: “ Vorrei riuscire a descrivere le condizioni miserande di questo abitato… perché la malattia e la miseria si danno la mano. La malattia arreca miseria, e questa, facendo mancare i mezzi, rende quella più terribile nei suoi effetti”
Le battaglie per redimere Lesina sembravano dare buoni frutti: domenica 29 Aprile 1900 l’on. De Lieto Vollaro inaugurava i lavori della foce Acquarotta. La manifestazione si mutava in una festa di popolo e rivestì per alcuni aspetti caratteri di vero folclore, ma il dado era ormai tratto: il lago ricomincerà a vivere e con esso i millenari suoi cittadini.
La manifestazione fu narrata nei minimi particolari in un articolo del Foglietto del 1° Maggio 1900 e riportato per intero in nota nel libro.
Al facile entusiasmo seguì ben presto l’amara delusione. Raffaele Centonza il 26 Novembre dello stesso anno sullo stesso giornale esprimeva tutto il suo rammarico per la sospensione dei lavori già nel mese successivo all’inaugurazione: “le vittime della malaria”, egli dice, “sono già troppe (di 16 giovani di leva di quest’anno si sono trovati idonei soltanto due) e sono già anche troppi i morti (nella sola tenuta di Ripalta ne sono morti quest’anno 16 in un mese)”.
Gli animi erano esasperati, si continuò a pescare di frodo, ad andare in galera e a morire se non di malaria, se non di stenti, per agguati e sommosse.
Raffaele Centonza continuava ad incitare i propri concittadini alla lotta sulle pagine dei giornali, con discorsi, con lettere aperte. In una di queste lettere datata 17 luglio 1902, rivolgendosi ai signori del lago e ai suoi concittadini scrisse: “ oh, venite pure, signori feudatari del lago e di Ripalta, con i vostri militi forzati di Poggio Imperiale, di Apricena e di Sannicandro, ricordatevi, però, che quei militi sono anche nostri fratelli di sventura, vittime come noi della malaria del nostro lago… venite e preparatevi pure l’inno della vittoria col verso del poeta: - i fratelli hanno ucciso i fratelli - … venite… correte all’assalto di Lesina nostra. Noi lesinesi, figli di Primiano Colozzi, vi attenderemo impavidi… decisi di vincere o di morire”.
Il 1908 raggiunse il vertice dell’epopea lesinese: ben 107 pescatori abusivi furono denunciati dai signori del lago, Masselli, Zaccagnino, Galante e De Martino. Dopo lunghe e travagliate vicende processuali, essi furono condannati a semplice ammenda grazie all’appassionata e strenua difesa degli avvocati Attilio Perrone-Capano e l’onorevole senatore Balzerano.
Dopo la morte di Raffaele Centonza (18 novembre 1905) e la disgrazia elettorale di De Lieto-Vollaro, Lesina e la maggior parte dei comuni garganici contribuirono, pressoché compatti, all’elezione di Domenico Zaccagnino, garganico e signore del lago e di Ripalta.
Dopo l’elezione a deputato, egli si allontanò dalla posizione degli altri proprietari del lago, Masselli e Galante, iniziò, vuoi per meri calcoli politici, interessi personali o vera simpatia per Lesina, ad interessarsi delle vicende del lago e della sua bonifica.
Si ripeté, ahimè per Lesina la stessa situazione verificatasi con il Vollaro: stessa “scampagnata” e “festa” sul lago il 13 maggio 1910, stessa accoglienza di personaggi illustri, stesse promesse di opere di bonifica, stessa minuziosa e folcloristica cronaca, sul Foglietto, dell’ “immemorabile” giornata.
Immancabilmente i lavori di bonifica furono sospesi e Lesina insorse. Gli operai addetti ai lavori di bonifica si recarono in municipio, s’impossessarono della bandiera, fecero sgombrare gli uffici, chiusero il comune a chiave e percorsero le vie dell’abitato gridando: “abbasso l’amministrazione comunale” era il giugno del 1911. Ai dimostranti s’unirono ben 200 pescatori, si diressero verso il lago, s’impadronirono di una trentina di sandali, presero il largo e pescarono abusivamente. Alle 12,30 ritornarono, si recarono al comune dove li attendeva davanti al portone d’ingresso il sindaco Vittorio Cittadini, 10 militi e il loro comandante. Invano la richiesta del sindaco della restituzione delle chiavi e della bandiera. I dimostranti continuarono a gridare: “Pane e lavoro”. Volarono sassi. Tre militi restarono feriti. Il sindaco ordinò di far fuoco. Bastarono pochi colpi sparati in aria e i dimostranti si dispersero.
Dei fatti se n’occupò il parlamento. Il Cittadini fu processato e condannato.
Il problema di Lesina e del suo lago è un problema atavico e ha le sue radici nella cattiva ripartizione condotta dal regio ripartitore Biase Zurlo e dalla sua macchinazione perpetrata ai danni dei lesinesi, privandoli degli usi civici sul terzo del lago deliberati dalla Commissione Feudale, allorché li costrinse con sotterfugi alla concessione in enfiteusi di questa parte all’erede del Principe Placido Imperiale, Giulio II suo cognato.
Alfonso si ferma agli inizi del novecento, ma ha impostato in modo articolato, chiaro ed organico il problema. Lo riprenderà, forse, e completerà il lavoro affrontando le vicende successive di tutto il novecento fino ai giorni nostri.
Lesina si risolleverà e avrà piena soddisfazione, grazie a nuove future lotte dei suoi cittadini alla cui guida si porranno uomini di grande levatura morale ed amministrativa, quali il podestà Michele Colozzi e suo figlio Primiano, Raffaele Augelli, Giovanni Dell’Aquila e ultimi, soltanto in ordine di tempo, Salvatore Caputo e Antonio Trombetta.